Martedì, 25 Marzo 2025 06:14

 Manifesto di Ventotene: "Prodotto" della Modernità In evidenza

Scritto da Prof. Daniele Trabucco

Di Daniele Trabucco Belluno, 24 marzo 2025 - Il Manifesto di Ventotene del 1941, redatto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, tradisce la visione classica dello Stato delineata da Aristotele, ponendosi in aperta opposizione all’idea di una comunità politica fondata sulla prossimità, sulla condivisione di valori e su una partecipazione attiva e concreta dei cittadini alla vita pubblica.

Aristotele, nella Politica, definisce lo Stato (polis) come una realtà organica, che esiste per permettere all’uomo di realizzare la propria natura politica e morale. La sovranità non è un mero strumento amministrativo, ma l’espressione di un legame profondo tra i cittadini, che condividono leggi, tradizioni e che tendono al bene comune.

Il Manifesto di Ventotene, invece, liquida la sovranità nazionale (intesa ovviamente in senso moderno) come un ostacolo al progresso, immaginando una federazione europea che, lungi dal rafforzare la libertà, rischia di ridurre gli individui a mere unità burocratiche prive di una vera appartenenza civica.

L’idea di un’autorità sovranazionale svincolata dai legami identitari tradisce l’insegnamento aristotelico secondo cui una comunità politica deve fondarsi su relazioni di reciprocità e su un ethos condiviso.

L’errore di Spinelli e Rossi è quello tipico dell’astrattismo razionalista: credere che sia possibile costruire un ordine politico efficace attraverso un progetto teorico, dimenticando che lo Stato non è un’architettura formale, ma una realtà concreta che cresce nel tempo attraverso l’esperienza storica e il tessuto culturale di un popolo, sebbene questa visione dell' ordinamento statale come "processo", tipica del pensiero moderno, sia fortemente discutibile in una prospettiva giusnaturalistico classica.

La modernità, com'è noto, a partire da Machiavelli e Hobbes, rovescia la visione dello Stato quale realtà teleologica finalizzata alla giustizia: esso diventa un processo in continua trasformazione, guidato non da una legge naturale oggettiva, ma dalla volontà politica e dall’equilibrio di forze. Il potere, allora, non è più un mezzo per realizzare un ordine giusto, ma una realtà autonoma che si ridefinisce attraverso il conflitto e la negoziazione.

Prof. Daniele Trabucco

(SSML/Istituto di grado universitario "san Domenico" di Roma).

 

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